La morte degli otto volontari della ONG
International Assistance Mission lascia esterrefatti. Di fronte a comportamenti
di una violenza cosi inaudita, vien da pensare che l’essere umano sia l’unico
essere vivente capace di tanto e pertanto l’unico essere fuori posto sul
pianeta.
Questo eccidio, l’uccisione di persone a sangue freddo non
può che esserlo, purtroppo, va ad aggiungersi ai tanti accaduti dopo l’ultima
guerra mondiale; guerra che, a causa della crudeltà con cui era stata condotta,
avrebbe dovuto mettere le basi a una riflessione costante sui modi di condurre
le divergenze tra i popoli. Ma cosi non è stato! Questo episodio non è che uno
dei tanti noti e non noti (vedi i documenti segreti svelati di recente da Wikileaks
su come conducono la guerra gli USA in Afganistan) commessi dalle parti in
guerra.
Di eccidi, nella seconda metà del secolo scorso e in questo
scorcio del nuovo ne sono stati commessi tantissimi e a farne le spese, anzi,
se si chiamano eccidi e proprio per questo,
sono sempre i più deboli che con la guerra magari neanche c’entrano o
chi, come nel caso dei volontari, si adopera per aiutare chi si trova nel
bisogno senza distinzione di bandiera.
Dire che la guerra andrebbe bandita sarebbe retorico – d’altra
parte, per fermare i contendenti in armi servono armi. Dire che bisogna trovare
soluzioni pacifiche ai problemi, forse, lo è altrettanto, almeno finché il
mondo è diviso e a decidere le politiche nazionali sono gli interessi
particolari siano essi economici, ideologici o religiosi.
Ma, al di la di questo, ciò che lascia esterrefatti è il
continuo utilizzo dei cosiddetti “segreti di stato” utilizzati per nascondere
ai popoli, non solo le azioni, ma anche la vera essenza delle guerre; quegli
stessi popoli che, periodicamente, vengono chiamati a commemorare le vittime
delle guerre e che, con discorsi “roboanti” , li si invita a vigilare affinché
il mondo non ricada in quegli orrori come se gli orrori riguardino un passato
lontano e che non si è più verificato proprio grazie alla vigilanza. A ciò va
aggiunto il continuo richiamarsi a valori storico/nazionali che invece di
avvicinare, allontana i popoli e li pone in una situazione di conflittualità
permanente che viene utilizzata proprio per giustificare le guerre.
Se da una parte si cerca di creare una cultura “globale” per
il bene di tutti, dall’altra si opera in modo che detta cultura si verifichi
esclusivamente a favore degli interessi particolari e non delle popolazioni; si
afferma che l’economia è globale e pertanto le vecchie regole non valgono più e
che bisogna allargare il proprio orizzonte d’azione, e, allo stesso tempo, si
afferma che i popoli devono stare entro i loro territori e, se si spostano,
devono “integrarsi” – cioè diventare – nella cultura che li ospita. Questo
significa che la globalizzazione, invece di essere intesa come dibattito aperto
tra le diverse culture – il che presuppone il mescolarsi dei popoli affinché
possano dialogare che a sua volta presuppone l’apertura, o la loro definitiva
eliminazione, delle frontiere –, viene intesa unicamente come possibilità degli
interessi particolari di commerciare (o rapinare?) liberamente dettando le loro
leggi (con la costituzione in loco di governi a loro asserviti) anche la dove
vige un diverso modo di intendere l’economia. I popoli, anzi, vengono tenuti
all’oscuro dei mezzi usati.
Gli eccidi perpetrati da ambo i contendenti dovrebbero,
secondo le intenzioni dei fautori, essere vissuti dalle popolazioni dei
rispettivi paesi come azioni lesive della loro libertà e non come atti
criminali.
Essere uccisi in terra straniera a causa di guerre che non si
condivide o essere uccisi in terra nostra a causa di politiche dissennate, non
implica nessun eroismo. Implica, invece, un continuo martirio delle popolazioni
e individui coinvolti che, loro malgrado, si trovano ad affrontare situazioni
estreme per scelte altrui.
Si potrebbe obiettare che i volontari conoscono la
situazione dei paesi dove operano e, pertanto, anche i rischi, e ciò è vero. Ma
se si considera che, dell’intera popolazione mondiale, solo una piccola parte
condivide la guerra, ne consegue che i volontari, operando in quei luoghi,
danno testimonianza della loro fede nella libertà dei popoli e nella pace tra
essi e non come portatori di valori non condivisi dalle popolazioni di quei
territori. In tal caso li si può considerare antieroi e … martiri.
Essere per la pace significa rifiutare la guerra, cercare di
fermarla con metodi pacifici, implica un impegno a cui, chi vi partecipa, lo fa
in considerazione dell’inutilità della stessa. Cosi agendo, rifiuta anche tutto
ciò che ne deriva: l’eroismo, oltre agli onori e la ricchezza.
Per concludere, non esistono eroi!!!!!!!